I numeri si possono ricavare in modi diversi, tutti razionali e dimostrabili, tutti veri. Allo stesso tempo non completamente veri, tutti imprecisi, tutti FALSI.
I numeri possono essere scelti, usati come serve. Un uso comunque in buona fede, per il progresso e la razionalità, oppure per l'ambiente.
Potete leggere quanto volete, per farvi informare, persuadere, convince. Scegliere le fonti oppure accontentarvi del primo che capita. Ci sarà sempre un po' di verità, un po' di ragione. Se non volete perdere tempo ad informarvi su un tema di scarsa utilità, oppure nessuno vi convince
Cosa fare?
Ascoltate chi vi sta più simpatico.
Se vi piace Greenpeace, o la Boschi, Legambiente o la Total, probabilmente è inutile cercare di convincervi.
Il Fatto Quotidiano.
30 marzo 2016
Luciana Gaita
Referendum trivelle, la guida: lavoro,
inquinamento e politiche energetiche. Fronte del Sì e del No a confronto
Il 17 aprile italiani alle urne per
votare sulla durata delle concessioni alle società petrolifere. Enrico Gagliano
(promotore della tornata e fondatore del coordinamento No Triv) e Umberto
Minopoli (presidente dell’Associazione italiana nucleare) rispondono alle
domande de ilfattoquotidiano.it sui temi centrali della consultazione
Occupazione, inquinamento, ambiente e
politiche energetiche. Ecco i temi su cui ci si deve interrogare prima di
votare ‘sì’ o ‘no’ al referendum sulle trivelle del prossimo 17 aprile, che per
essere valido deve raggiungere il quorum del 50 per cento più uno degli aventi
diritto. Oggi in Italia non si possono ottenere permessi di ricerca o
prospezione né concessioni di coltivazione di petrolio e gas entro le 12 miglia
dalla costa. Eppure in quelle aree off limits alcune società continuano le loro
attività. Lo consente il comma 17 dell’articolo 6 del decreto legislativo 152
del 2006, sostituito dal comma 239 dell’articolo 1 della legge di Stabilità
(del 28 dicembre scorso) che permette a chi ha già ottenuto una concessione di
rinnovarla continuando l’attività ‘per la durata di vita utile del giacimento’.
Se prima le concessioni di coltivazione avevano una durata di 30 anni
(prorogabile per periodi di 10 e 5 anni) e i permessi di ricerca di 6 anni
(anche questi prorogabili), la legge di Stabilità ha decretato che i titoli già
rilasciati non abbiano più scadenza.
PERCHE’ LA LEGGE IN VIGORE E’ FAVOREVOLE
ALLE SOCIETA’ PETROLIFERE
Un particolare non di poco conto. Perché
dismettere un impianto comporta costi altissimi per le società concessionarie,
che quindi puntano a estrarre il minimo indispensabile per il maggior arco di
tempo possibile. Questo modus operandi, inoltre, ha anche un’altra spiegazione,
tutta economica: le franchigie. Le società petrolifere, infatti, non pagano le
royalties se producono meno di 20mila tonnellate di petrolio su terra e meno di
50mila in mare. Ma rivendono tutto a prezzo pieno. E se si superano le soglie,
ecco che scatta un’ulteriore detrazione di circa 40 euro a tonnellata. Morale:
il 7% delle royalties viene pagato solo dopo le prime 50mila tonnellate di
greggio estratto e neppure per intero. “Sistema comodo per le società, che
possono mantenere in vita impianti da cui producono quantità modeste di
petrolio”, spiega a ilfattoquotidiano.it Andrea Boraschi, responsabile della
Campagna Energia e Clima di Greenpeace. “Smantellare costa di più – aggiunge –
meglio continuare a produrre anche poco, sotto la soglia della franchigia,
senza pagare le royalties”. In Italia, inoltre, sono esentate dal pagamento le
produzioni in regime di permesso di ricerca. Ecco perché per chi estrae è
fondamentale quella “durata di vita utile del giacimento“.
NUOVE TRIVELLE? SI’, ECCO PERCHE’
Che non scongiura la possibilità di
costruire nuovi impianti entro le 12 miglia, specie se previsto nel programma
originario delle concessioni già rilasciate. Se il giacimento può essere ancora
sfruttato, infatti, le aziende potranno rinnovare gli impianti e aumentare la
produzione estrattiva, chiedendo di portare a termine il programma. E potrebbero
anche avere bisogno di nuove piattaforme e nuovi pozzi. Quindi nuove trivelle.
Sta accadendo in Sicilia, con il progetto della Vega B (è prevista la
realizzazione dei primi 4 pozzi, a cui se ne aggiungeranno altri 8), che
potrebbe sorgere all’interno della concessione per la Vega A. Situazione simile a quella di Rospo Mare (di
fronte all’Abruzzo) per la quale si parla di altri 4 pozzi.
COSA SI VA A VOTARE: IL QUESITO
Che cosa, quindi, i cittadini italiani
potranno cambiare in concreto con il loro voto? Potranno decidere se abrogare
(con il ‘sì’) questa parte di norma e far valere, anche per i titoli già
rilasciati, il divieto di ‘operare’ entro le 12 miglia dalla costa, facendo
cessare le attività in corso in mare. Non immediatamente, ma alla data di scadenza
‘naturale’ della concessione. Anche se ci fossero ancora petrolio o gas da
estrarre. Se passa il ‘no’, invece, si va avanti fino all’esaurimento. In
Italia sono state rilasciate 35 concessioni per estrazione di idrocarburi
(coltivazione) in mare che interessano anche aree entro le 12 miglia dalla
costa. Ventisei sono quelle produttive tra il mare Adriatico, il mar Ionio e il
canale di Sicilia, per un totale di 79 piattaforme e 463 pozzi. L’attuale norma
salva anche i permessi di ricerca già rilasciati: sono dodici, compreso quello
che riguarda Ombrina Mare. Partendo dai nodi attorno a cui si sviluppa il
dibattito, ilfattoquotidiano. it ha chiesto le ragioni del ‘sì’ e quelle del
‘no’ rispettivamente a Enrico Gagliano, tra i fondatori del coordinamento nazionale
NoTriv e primo promotore del referendum, e a Umberto Minopoli, presidente
dell’Associazione italiana nucleare.
Sulla questione occupazione si sono
spaccati anche i sindacati. Per la Cgil della Basilicata lo sfruttamento della
Val D’Agri non ha portato benefici, mentre la Cgil nazionale, con il segretario
dei chimici Emilio Miceli, sostiene che votare ‘no’ tuteli migliaia di posti di
lavoro. Solo nella provincia di Ravenna si parla di 7mila persone impiegate nel
settore dell’offshore. L’Italia può permettersi di chiudere gli impianti?
Enrico Gagliano per
il ‘sì’
– “La vittoria del ‘sì’ non determinerà alcuna
cessazione immediata delle attività offshore, che proseguirebbero fino alla
loro scadenza per terminare in un arco di tempo che oscilla da un minimo di 1
anno e 3 mesi a un massimo di 11 anni. Sulla questione disoccupazione si fa
terrorismo mediatico: il referendum riguarda concessioni che erogano il 9% del
petrolio e il 27% di tutto il gas estratti in Italia; i pozzi di gas hanno
superato da anni il picco di produzione e hanno una vita residua media di 5/6
anni, un tempo sufficiente per riqualificare il settore”.
Umberto Minopoli
per il ‘no’ – “L’opportunità offerta dalla scoperta degli
idrocarburi in Italia ha consentito la nascita dell’Eni e, intorno a esso, di
una miriade di aziende che, partendo dal business nazionale, hanno sviluppato
tecnologie d’avanguardia e sono diventate leader nel mondo. Il referendum,
imponendo la fermata della produzione di campi a gas già funzionanti in piena sicurezza
e in modo redditizio, bloccherebbe il motore che ha finora consentito alle
aziende di investire in Italia. Il fenomeno sta già verificandosi a Ravenna e
in Adriatico. Il ragionamento dei sindacati lucani è totalmente miope.
Il caso Ravenna è emblematico. Secondo
alcuni studiosi gli impianti non danneggiano il turismo, secondo altri in
quell’area le estrazioni di acqua e gas dal sottosuolo accelerano il fenomeno
della subsidenza costringendo a investimenti per tutelare spiagge e suolo.
EG per il ‘sì’ – “Dove sono finiti quelli che – Prodi in testa – indicavano nella
Croazia il modello da seguire? Il nuovo governo croato ha deciso di bloccare i
progetti di estrazione in Adriatico per difendere il turismo. Noi, invece,
scegliamo le trivelle. L’accelerazione del fenomeno della subsidenza è un dato:
secondo l’Arpa dell’Emilia Romagna, in prossimità del giacimento di gas
Angela-Angelina le estrazioni hanno prodotto in oltre 20 anni, sui fondali
compresi tra i 4 e i 6 metri, abbassamenti superiori a 2 metri. Da Nord a Sud:
anche in Calabria, vicino Crotone, Leonardo Seeber, sismologo della Columbia
University, ha registrato un nesso tra estrazioni di gas in mare e subsidenza.
Su Capo Colonna è stato eretto un muro di silenzio perché in quell’area dello
Ionio, molto vicino alla costa, si estrae quasi il 15 per cento di tutto il gas
estratto in Italia”.
UM per il ‘no’ – “Il Turismo a Ravenna è un dato di fatto. I veri problemi ci sono
stati al più in passato quando una raffineria e un polo petrolchimico (che importavano
petrolio dall’estero) hanno obbligato a trovare un equilibrio complesso. Ma dal
settore ricerca e produzione di idrocarburi si sono solo avuti benefici
importanti, fino a giungere alla simbiosi fra piattaforme di produzione di gas
naturale e la coltivazione di cozze con il ripopolamento della fauna ittica.
Sulla subsidenza sono stati effettuati studi approfonditi a altamente
scientifici, con la creazione di modelli elaborati da università e centri di
ricerca. La subsidenza riguarda tutta la fascia appenninica con un costante
spostamento verso Est, che porterà fra un milione di anni alla scomparsa del
Mare Adriatico”.
Quali sono le conseguenze
sull’ecosistema terra-mare, sull’inquinamento di acqua, sulla tutela della
biodiversità e della pesca?
EG per il ‘sì’ – “Le società che estraggono escludono il rischio di incidenti in
mare, ma questa possibilità non può essere esclusa. Prendiamo per esempio la
concessione di olio ‘Rospo Mare’ di Eni e di Edison (nell’offshore
abruzzo-molisano), ad un tiro di schioppo dalle Tremiti e a poche miglia dal
parco marino di Punta Penne. Qui, tra il 2005 ed il 2013, si sono verificati
due sversamenti: l’ultima volta sono finiti in mare mille litri di idrocarburo.
Si è sfiorato un disastro ambientale in l’Adriatico. Rospo Mare è una delle
concessioni interessate dal referendum: se dovesse vincere il ‘no’, Edison ed
Eni potrebbero decidere di aprire altri pozzi e andare avanti finché ce n’è o
finché lo riterranno conveniente”.
UM per il ‘no’ – “Basta visitare una piattaforma o assistere al processo di
perforazione per rendersi conto del livello di rispetto ambientale garantito
con le tecnologie sviluppate dalle nostre aziende. Nulla viene scaricato a
mare, ma trattato e riportato a terra in discariche specializzate. I sistemi di
trattamento delle acque consentono spesso la loro piena potabilità. In
California, in seguito al totale sfruttamento dei giacimenti petroliferi,
bisognava smantellare le piattaforme. Ed è proprio il movimento ambientalista a
chiedere di lasciare lì le piattaforme divenute ormai un tutt’uno con
l’ecosistema marino e punto di ripopolazione della fauna”.
È vero che lo stop della produzione di
idrocarburi nel nostro Paese richiederebbe un aumento delle importazioni e il
maggior traffico di petroliere nei porti italiani?
EG per il ‘sì’ – “Per il gas non si
capisce bene di cosa stiamo parlando: quasi tutto quello importato arriva in
Italia attraverso 5 metanodotti e solo per il 7% con navi metaniere sotto forma
di gas liquefatto. Inoltre, la minore produzione di gas, che è pari ad appena
il 3% del fabbisogno nazionale, potrebbe essere compensata puntando su
rinnovabili ed efficienza energetica. Si potrebbero recuperare così i 60mila
posti di lavoro persi dal 2013 a oggi, dando uno scossone al Pil. Secondo Enel
e Confindustria, l’efficientamento energetico potrebbero creare 400mila nuovi
posti e un giro d’affari compreso tra i 350 e i 510 miliardi. Quanto
all’aumento delle estrazioni di petrolio nazionale è causa di maggior traffico
nei porti italiani e di inquinamento”.
UM per il ‘no’ – “La fermata della
produzione di gas e petrolio nazionale comporta la piena sostituzione con
volumi equivalenti importati dall’estero. Bisognerà pagare in valuta e
trasportare gli idrocarburi con petroliere e con gasiere di Lng (ma poi nessuno
vuole I rigassificatori!). Storicamente i grandi inquinamenti a mare sono
avvenuti nella fase del trasporto. Quindi il cambiamento farà aumentare i
rischi. A meno che venga proposta per legge una riduzione dei consumi
petroliferi, il che vuol dire ridurre drasticamente i trasporti (aerei, auto,
camion, traghetti, navi, moto), limitare le produzioni delle aziende
metalmeccaniche e rinunciare a coprire manto stradale e autostradale con gli
asfalti di alta qualità prodotti dall’industria italiana”.
Quanto petrolio e quanto gas abbiamo? Le
trivelle sono un buon affare?
EG per il ‘si’ – “Le trivelle sono state
un buon affare per l’Italia nel periodo del boom economico. Enrico Mattei ebbe
intuizioni geniali, ma oggi si proietterebbe verso il futuro. Con le riserve
certe di idrocarburi stimate dal Mise potremmo far fronte alla domanda interna
di petrolio per appena 7 settimane e di gas per 6 mesi, determinando ricadute
negative sul turismo (10% del Pil e 3 milioni di occupati), la pesca (2,5% del
Pil e 350mila occupati) e il settore agroalimentare (8,7% del Pil 3,3 milioni
di occupati). Royalties a parte, che secondo la Corte dei Conti non sono tasse,
il rischio industriale dovrebbe spingerci ad abbandonare progressivamente le
fonti fossili.
UM per il ‘no’- “Ad oggi, l’industria
petrolifera finanzia le sue attività e si assume tutti i rischi economici della
ricerca senza alcun aiuto degli Stati. Paga regolarmente le royalties e le
tasse, contribuendo al benessere collettivo. Non è il caso delle rinnovabili,
che hanno bisogno di costanti e importanti finanziamenti pubblici, pagati dai
cittadini attraverso le bollette dell’elettricità o con la tassazione diretta.
Con il livello della ricerca raggiunta ad oggi, sarebbe impossibile sostituire
gli idrocarburi con fonti rinnovabili. A meno che si decida di fermare il Paese
per qualche decennio. No aerei, no tir, no autovetture. Per circa 30 anni”.
La repubblica
18 marzo 2016
Il 17 aprile si vota sul quesito voluto
da Regioni preoccupate per le conseguenze ambientali e per i contraccolpi sul
turismo di un maggiore sfruttamento degli idrocarburi. Ecco le ragioni dei due
schieramenti
di ANTONIO CIANCIULLO
ROMA - Il 17 aprile si voterà sulle
trivelle. Il referendum è stato voluto da 9 Regioni (Basilicata, Calabria,
Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Veneto) preoccupate per le
conseguenze ambientali e per i contraccolpi sul turismo di un maggiore
sfruttamento degli idrocarburi. Non propone un alt immediato né generalizzato.
Chiede di cancellare la norma che consente alle società petrolifere di estrarre
gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di
tempo. Come è accaduto per altri referendum, il quesito appare di portata
limitata ma il significato della consultazione popolare è più ampio: in gioco
ci sono il rapporto tra energia e territorio, il ruolo dei combustibili
fossili, il futuro del referendum come strumento di democrazia.
La domanda che si troverà stampata sulle
schede è "Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i
giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c'è ancora
gas o petrolio?" Dunque chi vuole - in prospettiva - eliminare le trivelle dai mari italiani deve
votare sì, chi vuole che le trivelle restino senza una scadenza deve votare no.
I due schieramenti sono rappresentate da
comitati. Da una parte c'è il Comitato Vota sì per fermare le trivelle "Il
petrolio è scaduto: cambia energia!") a cui hanno aderito oltre 160
associazioni (dall'Arci alla Fiom, da quasi tutte le associazioni ambientaliste
a quelle dei consumatori, dal Touring Club all'alleanza cooperative della
pesca). Dall'altra un gruppo che si definisce "ottimisti e razionali"
e comprende nuclearisti convinti come Gianfranco Borghini (presidente del
comitato) e Chicco Testa, il presidente di Nomisma energia Davide Tabarelli, la
presidente degli Amici della Terra Rosa Filippini. Ecco, punto per punto, le
ragioni dei due schieramenti.
Quanto petrolio è in gioco?
Le ragioni del sì
Secondo i calcoli di Legambiente,
elaborati su dati del ministero dello Sviluppo economico, le piattaforme
soggette a referendum coprono meno dell'1% del fabbisogno nazionale di petrolio
e il 3% di quello di gas. Se le riserve marine di petrolio venissero usate per
coprire l'intero fabbisogno nazionale, durerebbero meno di due mesi.
Le ragioni del no
Secondo i calcoli del Comitato Ottimisti
e razionali la produzione italiana di gas e di petrolio - a terra e in mare-
copre, rispettivamente, l'11,8% e il 10,3% del nostro fabbisogno. (Visto che
questo dato comprende anche le piattaforme che non rischiano la chiusura perché
non sono oggetto di referendum, su questo punto le stime dei due schieramenti
non si allontanano: l'85% del petrolio italiano viene dai pozzi a terra, non in
discussione, e un terzo di quello estratto in mare viene da una piattaforma
oltre le 12 miglia, non in discussione).
Qual è l'impatto del petrolio in mare?
Le ragioni del sì.
A preoccupare non sono solo gli
incidenti ma anche le operazioni di routine che provocano un inquinamento di
fondo: in mare aperto la densità media del catrame depositato sui nostri
fondali raggiunge una densità di 38 milligrammi per metro quadrato: tre volte
superiore a quella del Mar dei Sargassi, che è al secondo posto di questa
classifica negativa con 10 microgrammi per metro quadrato.
Inoltre il mare italiano accanto alle
piattaforme estrattive porta l'impronta del petrolio. Due terzi delle
piattaforme ha sedimenti con un inquinamento oltre i limiti fissati dalle norme
comunitarie per almeno una sostanza pericolosa. I dati sono stati forniti da
Greenpeace e vengono da una fonte ufficiale, il ministero dell'Ambiente: si
riferiscono a monitoraggi effettuati da Ispra, un istituto di ricerca pubblico
sottoposto alla vigilanza del ministero dell'Ambiente, su committenza di Eni,
proprietaria delle piattaforme oggetto di indagine.
Le ragioni del no
L'estrazione di gas è sicura. C'è un
controllo costante dell'Ispra, dell'Istituto Nazionale di geofisica, di quello
di geologia e di quello di oceanografia. C'è il controllo delle Capitanerie di
porto, delle Usl e delle Asl nonché quello dell'Istituto superiore di Sanità e
dei ministeri competenti. Mai sono stati segnalati incidenti o pericoli di un
qualche rilievo. Il gas non danneggia l'ambiente, le piattaforme sono aree di
ripopolamento ittico.
I limiti presi a riferimento per le
sostanze oggetto di monitoraggio e riportati nel rapporto di Greenpeace non
sono limiti di legge applicabili alle attività offshore di produzione del gas
metano. Valgono per corpi idrici superficiali (laghi, fiumi, acque di
transizione, acque marine costiere distanti 1 miglio dalla costa) e in corpi
idrici sotterranei.
Fermando le trivelle perdiamo una
risorsa preziosa?
Le ragioni del sì
Dopo il rilascio della concessione gli
idrocarburi diventano proprietà di chi li estrae. Per le attività in mare la
società petrolifera è tenuta a versare alle casse dello Stato il 7% del valore
del petrolio e il 10% di quello del gas. Dunque: il 90-93% degli idrocarburi
estratti può essere portato via e venduto altrove. Inoltre le società
petrolifere godono di un sistema di agevolazioni e incentivi fiscali tra i più
favorevoli al mondo. I posti di lavoro immediatamente a rischio (calo del
turismo, diminuzione dell'appeal della bellezza del paese) sono molti di più di
quelli che nel corso dei prossimi decenni si perderebbero man mano che scadono
le licenze.
Le ragioni del no
L'industria del petrolio e del gas è
solida. Il contributo versato alle casse dello Stato è rilevante: 800 milioni
di tasse, 400 di royalties e concessioni. Le attività legate all'estrazione
danno lavoro diretto a più di 10.000 persone.
Non fermando le trivelle perdiamo una
risorsa preziosa?
Le ragioni del sì
Sì, perché le trivelle mettono a rischio
la vera ricchezza del Paese: il turismo, che contribuisce ogni anno a circa il
10% del Pil nazionale, dà lavoro a quasi 3 milioni di persone, per un fatturato
di 160 miliardi di euro; la pesca, che produce il 2,5% del Pil e dà lavoro a
quasi 350.000 persone; il patrimonio culturale, che vale il 5,4% del Pil e dà
lavoro a 1 milione e 400.000 persone.
Le ragioni del no
L'attività estrattiva del gas metano non
danneggia in alcun modo il turismo e le altre attività. Il 50% del gas viene
dalle piattaforme che si trovano nell'alto Adriatico; nessuna delle numerose
località balneari e artistiche, a cominciare dalla splendida Ravenna, ha
lamentato danni.
Insistere sulle trivelle è compatibile
con gli impegni a difesa del clima?
Le ragioni del sì
Alla conferenza sul clima di Parigi 194
Paesi si sono impegnati a mantenere l'aumento della temperatura globale al di
sotto dei 2 gradi. Per raggiungere questo obiettivo è indispensabile un taglio
radicale e rapido dell'uso dei combustibili fossili. Per mettere il mondo al
riparo dalla crescita di disastri meteo come alluvioni, uragani e siccità
prolungate, due terzi delle riserve di combustibili fossili dovranno restare
sotto terra. In questo quadro investire sul petrolio potrebbe rivelarsi un
azzardo economico.
Le ragioni del no
Il futuro sarà delle rinnovabili, ma
vanno integrate perché la loro affidabilità è limitata. Sole, acqua e vento non
sono elementi che possiamo "gestire" a nostro piacimento. Non siamo pertanto in grado di prevedere
quanta energia elettrica sarà, in un dato periodo, prodotta dal fotovoltaico,
dall'eolico o dalle centrali idroelettriche. E quindi, senza i combustibili
fossili, non possiamo programmare liberamente i nostri consumi, come siamo
abituati e talvolta obbligati a fare.
I referendum servono?
Le ragioni del sì
"Si deve comunque andare a votare -
afferma il presidente della Camera Laura Boldrini - perché il referendum é un
esercizio importante di democrazia, tanto più quando i cittadini sono chiamati
ad esprimersi senza filtri. Il mio è un invito al voto. Dopodiché ognuno vota
come ritiene più opportuno".
Le ragioni del no
Diciamo agli italiani: "Non andate
a votare, non tirate la volata a chi vuole soltanto distruggere".
E quanto costano?
Le ragioni del sì
Il mancato abbinamento alle imminenti
elezioni amministrative, deciso per rendere più difficile il raggiungimento del
quorum, ha comportato uno spreco di oltre 360 milioni - l'equivalente degli
introiti annuali dalle royalties dalle trivellazioni attualmente presenti nel
Paese.
Le ragioni del no
Questo referendum non ha senso e non si
doveva fare: è uno spreco di 400 milioni.
Nessun commento:
Posta un commento